vangelo secondo matteo

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Leggi il vangelo di Matteo

MATTEO 2020

Mater divinae Gratie 2020

Lettura integarale del Vangelo secondo Luca in 5 parti

Fonti

Il Vangelo secondo Matteo appartiene al gruppo dei vangeli sinottici, assieme al Vangelo secondo Marco e al Vangelo secondo Luca: questi vangeli sono caratterizzati dal fatto di includere episodi simili, spesso nella stessa sequenza e spesso persino raccontati con le stesse parole; l’interpretazione della relazione tra i tre vangeli sinottici prende il nome di “problema sinottico“.

Sebbene l’autore di Matteo abbia composto il suo vangelo in accordo ai propri scopi e dal proprio punto di vista, la maggior parte degli studiosi concordano nel sostenere che abbia ampiamente copiato dei brani del Vangelo secondo Marco (priorità marciana) e forse anche da una o più fonti ulteriori. Matteo contiene la gran parte dei versetti di Marco, spesso nello stesso ordine,[62] ma spesso modifica Marco, rimuovendone o alterandone frasi ridondanti, parole inusuali o brani che potrebbero mettere Gesù in cattiva luce (ad esempio rimuovendo il commento che Gesù era «fuori di sé» presente in Marco 3,21 o il «non t’importa» in Marco 4,38, eccetera).[63]Di 1.071 versetti totali, Matteo ne condivide 387 con Marco e Luca, 130 solo con Marco e 184 solo con Luca; solo 370 sono peculiari di Matteo.

Le sovrapposizioni nella struttura delle frasi e nella scelta delle parole dei tre sinottici sono state spiegate sostenendo che gli autori dei vangeli copiarono l’uno dall’altro o tutti da una stessa fonte comune. La visione che raccoglie la gran parte del consenso tra gli studiosi è la teoria delle due fonti, secondo la quale l’autore di Matteosi è ispirato al Vangelo secondo Marco e ad una ipotetica raccolta di detti di Gesù, chiamata fonte Q. Una teoria simile ma meno comune, l’ipotesi Farrer, presuppone che Matteo si sia ispirato a Marco, e che per ultimo sia stato composto Luca a partire dagli altri due sinottici. Per la maggioranza degli studiosi, Q fornisce quanto Matteo e Luca hanno in comune, talvolta usando le stesse parole, ma che non è presente in Marco; ad esempio i dettagli delle tre tentazioni di Gesù, le beatitudini, il “Padre nostro” e molti singoli detti.[4][64][65]

Burnett Hillman Streeter[66], propose l’esistenza di una terza fonte, anche questa ipotetica e detta M, dietro il materiale di Matteo assente in Marco e Luca.[67] Per tutto il resto del XX secolo, ci sono state diversi raffinamenti e confutazioni dell’ipotesi di Streeter; ad esempio, nel 1953 Pierson Parker[68] propose una versione precedente di Matteo, detta proto-Matteo, come fonte primaria di Matteo e Marco, con il primo che avrebbe usato anche Q.[69]

Una minoranza di studiosi sostiene la tradizione cristiana, secondo la quale Matteo sarebbe stato il primo vangelo e Marco vi attingerebbe (ipotesi agostiniana e ipotesi Griesbach). Nel 1911, ad esempio, la Pontificia Commissione Biblica[70] asserì che Matteo era stato il primo vangelo, composto dall’evangelista Matteo in lingua aramaica

Datazione

L’anno di composizione del vangelo non è noto con precisione. Sebbene sia di recente emersa una tendenza a datare il vangelo prima del 70[14], la maggioranza degli studiosi data questo vangelo tra il 70 e la fine del I secolo.[15][16][17] L’opera deve essere stata composta entro la fine del primo secolo[14], perché le opere di Ignazio di Antiochia, in particolare la lettera agli Smirnesi (107110), presuppongono la lettura del Vangelo di Matteo[18] e presentano forti indizi «per la sua conoscenza delle lettere paoline e del Vangelo di Marco»[19]. Lo stesso autore della Didaché (scritta intorno al 100) mostra a sua volta di conoscere questo vangelo[10] [14].

Dopo il 70

A favore della datazione maggioritaria, che vuole la composizione del vangelo successiva al 70, è stato rilevato che, poiché nel Vangelo secondo Matteo Gesù sembra fare riferimento alla distruzione di Gerusalemme,[20] la sua stesura debba essere successiva all’assedio di Gerusalemme e la sua conseguente distruzione per opera dei Romani, nell’anno 70.[21]A sostegno di questa tesi, confortata anche dalla diffusa ipotesi di dipendenza dal Vangelo secondo Marco(datato attorno al 70), si evidenzia inoltre come il contesto rifletta già una divisione tra la chiesa e la sinagoga.[22]

Prima del 70

Diversi studiosi sostengono comunque una data antecedente al 70. Questi autori evidenziano come il riferimento alla sorte del tempio non sia chiaro e come siano invece presenti numerosi passaggi nei quali l’evangelista sembra presupporre l’esistenza del tempio nel momento in cui scrive[22]. Il vangelo potrebbe quindi essere stato scritto nel decennio 6070, quando è peraltro più probabile che l’apostolo fosse ancora attivo[22]. Una datazione prima del 70 è infatti generalmente preferita da coloro che ritengono che il vangelo sia stato composto da Matteo apostolo;[23] tra questi uno dei più famosi è John Wenham, tra i maggiori sostenitori della ipotesi agostiniana. L’esegeta Francesco Spadafora ha analizzato la dipendenza della Prima lettera ai Tessalonicesi di Paolo di Tarso dai capitoli 23 e 24 del vangelo di Matteo, che datano 50-51 d.C.: ne conclude che il vangelo di Matteo precedette le due epistole paoline[24]. Concorda il biblista Bernard Orchard, che data il vangelo tra il 40 e il 50[25]. Una testimonianza circa la datazione di Matteo antecedente al 70 proviene anche da due codici georgiani del X e XI secolo, trascritti nel monastero della Santa Croce di Gerusalemme. È lo storico Gérard Garitte[26] a spiegare che i codici, datati al 902 e al 1074, riferiscono la notizia che il vangelo secondo Matteo fu scritto otto anni dopo l’Ascensione di Gesù, il vangelo di Marco 11 anni dopo, Luca 15 anni dopo e Giovanni 32 anni dopo[27].

Il biblista francese Jean Carmignac, analizzando nelle lingue semitiche il problema sinottico, propone una datazione dell’originale aramaico o ebraico verso il 45 e della traduzione greca (quella pervenutaci) intorno all’anno 50.[28]

AUTORE

Il testo è anonimo, in quanto non presenta il nome dell’autore.[11]

La tradizione cristiana antica attribuisce a Matteo apostolo la composizione dell’omonimo vangelo, risalendo agli scritti di Papia di Ierapoli, nella prima metà del II secolo, il quale affermò che Matteo raccolse i detti di Gesùscrivendoli nella lingua degli Ebrei;[2][29] non risulta siano mai stati proposti altri autori.[22]

A partire dal XVIII secolo gli esegeti biblici hanno messo in discussione la possibilità che Matteo abbia scritto questo vangelo.[30] Allo stato attuale non ci sono evidenze sufficienti per attribuire la redazione finale del testo a Matteo o a un altro autore[31], ma la maggior parte degli studiosi moderni preferisce comunque attribuire Matteo a un anonimo cristiano che scrisse verso la fine del I secolo.[4] Secondo Gerd Theissen, ad esempio, il testo attuale non sarebbe opera di Matteo, ma ritiene possibile che una delle fonti utilizzate per la sua stesura, la fonte Q, possa essere ricondotta all’apostolo.[32] Gli esegeti della École biblique et archéologique française (i curatori della Bibbia di Gerusalemme)[33] ritengono comunque che la fonte Q, così come il vangelo attribuitogli, non sia identificabile con l’apostolo Matteo: “Alcuni hanno perfino proposto di identificare la fonte Q (raccolta soprattutto di «parole» di Gesù) con Matteo, del quale Papia dice che ha messo in ordine i «detti» del Signore. Ma Papia usa la stessa espressione per indicare Marco (cf anche il titolo della sua opera) e nulla permette di pensare che il Matteo di cui parla abbia contenuto solo dei logia [detti di Gesù]”.

Howard Clark Kee ricorda invece come gli insegnamenti e i detti di Gesù furono tramandati oralmente finché non furono infine messi per iscritto; questa teoria è in parte basata sul «fatto che altri scritti cristiani, più tardi, includono detti attribuiti a Gesù che ricordano quelli inclusi nei vangeli, ma per i quali non vi sono equivalenti».[34] Poiché l’attribuzione è molto antica e poiché Matteo è una figura relativamente poco rilevante nella prima letteratura cristiana, l’attribuzione a Matteo ha comunque ancora i suoi sostenitori[35]. Secondo R. T. France, ad esempio, l’apostolo Matteo, per i contenuti e il tono di questo vangelo, rimane il candidato più probabile[22].

Attualmente, comunque, anche la più autorevole critica cristiana ritiene che il vangelo non sia stato scritto dall’apostolo Matteo; ad esempio, Raymond Brown[36] sottolinea che “c’è un accordo quasi unanime nei circoli scientifici di oggi che l’evangelista è sconosciuto, anche se continuiamo a usare il nome «Matteo». La sua dipendenza da Marco (e da Q, un corpo dei detti di Gesù in greco, noto anche a Luca) indica che non era un testimone oculare del ministero di Gesù”. Anche gli esegeti del “Nuovo Grande Commentario Biblico”, concordemente a quelli dell’interconfessionale Bibbia TOB[37], ritengono che l’autore non potesse essere testimone oculare, anche “perché un testimone oculare avrebbe copiato da un altro che non era tale? Il vangelo così come lo abbiamo ora si presenta piuttosto come una sintesi matura che fonde il vangelo più antico, Marco, con una raccolta di detti di Gesù (la cosiddetta Logien-Quelle o Q)”.[38] Nel vangelo di Matteo si trovano, infatti, 606 dei 661 versi di Marco e “nel complesso Matteo è particolarmente fedele a Marco, quasi come un copista che riproduca un manoscritto”.[39] Gli studiosi della Bibbia di Gerusalemme[40] osservano inoltre che, in merito alla loro formazione, “bisogna ammettere anzitutto che, prima di essere messi per iscritto, i Vangeli, o almeno gran parte del materiale che contengono, sono stati trasmessi oralmente. Inizialmente c’è stata la predicazione orale degli apostoli” e Il teologo John Dominic Crossan[41], tra i cofondatori del Jesus Seminar, ritiene che “in origine Matteo, e gli altri vangeli, circolarono come anonimi e furono probabilmente sostenuti dalle comunità per le quali furono scritti” e quindi, in merito ai vangeli canonici, “gli scritti che portano i loro nomi furono attribuiti a loro piuttosto che scritti da loro” e “nel secondo secolo, ognuno di questi fu fittiziamente legato direttamente o indirettamente a un’importante autorità apostolica come affermazione di tradizione ininterrotta”. Ancora Raymond Brown[42], in merito, evidenzia che “questo punto di vista [che gli evangelisti non fossero testimoni oculari] ci salva da un enorme numero di problemi che hanno perseguitato la precedente generazione di commentatori che pensavano che qualcuno degli stessi evangelisti avesse visto quello che riporta. […] Posso fornire altri dieci esempi nei quali la tesi dei testimoni oculari causa doppie teorie o altre spiegazioni implausibili e nei quali la negazione della testimonianza oculare offre una soluzione molto semplice”. 
Il tedesco Alfred Wikenhauser[43] evidenzia, quindi, come “in conclusione, poiché il nostro Matteo dipende da fonti greche, e principalmente da Marco, che è la sua fonte primaria, l’autore non può essere identificato con l’apostolo Matteo. Quindi chi sia veramente l’autore del primo vangelo [nell’ordine canonico dato nel Nuovo Testamento] rimane del tutto sconosciuto.”

Riferimenti a un testo in ebraico

Il primo riferimento a un testo scritto dal discepolo Matteo proviene da Papia, vescovo di Hierapolis in Anatolia, negli anni 120. Papia, la cui testimonianza è tramandata da Eusebio di Cesarea (IV secolo),[44] scrisse: «Matteo ordinò in lingua ebraica (o: aramaica) i detti, e ciascuno lo tradusse (o: interpretò) come meglio poté».[45] La notizia che Matteo scrisse il testo in ebraico è confermata da altri autori antichi, tra i quali IreneoOrigene di AlessandriaEusebio e Girolamo, che parlano di lingua “ebraica” o “paterna”.[46] Tra i vangeli sinottici, quello di Matteo è peraltro quello che concede il maggiore spazio alle parole di Gesù, che occupano circa tre quinti del testo: non stupisce, quindi, che possa essere stato indicato da Papia come una raccolta di detti (logia).[46]Poiché secondo la costante attestazione dei documenti antichi Matteo fu il primo evangelista canonico e poiché Luca accenna a “molti” che hanno scritto i fatti relativi alla vita di Gesù, è stato ipotizzato che il testo in ebraico (o aramaico) di Matteo possa risalire al 5055[46].

Secondo altri studiosi, però, il passo di Papia non è un riferimento al vangelo, in quanto esso fu composto in greco e non in ebraico.[5] L’interpretazione della precedente citazione di Papia dipende dal significato del termine logia, che letteralmente significa “oracoli”, ma il cui uso da parte di Papia è controverso. Tradizionalmente lo si è assunto come un riferimento al Vangelo secondo Matteo; alternativamente si è notato come gli scrittori del cristianesimo delle origini si riferiscano alle parole dell’Antico Testamento come ad “oracoli” per sostenere che si tratti di una lista di profezie dell’Antico Testamento compilata da Matteo; infine, questi logia sono stati interpretati come un elenco di detti (qualcosa di simile all’ipotetica fonte Q). In quest’ultimo caso non si tratterebbe del Vangelo secondo Matteo così come si è conservato, in quanto questo presenta molto materiale oltre ai detti.[5][47]: Allison ricorda, a questo proposito, come fosse peraltro abbastanza comune assegnare a un testo il nome dell’autore di una delle sue fonti[14]

L’ipotesi di un precedente Matteo in aramaico non è ritenuta valida da molti studiosi – anche considerando, come precisato nella sezione Autore, che la quasi unanimità degli studiosi attuali, inclusi quelli cristiani, ritiene che l’autore del Vangelo di Matteo non fosse l’apostolo e neppure un testimone oculare – e gli esegeti dell’interconfessionale Bibbia TOB[48] sottolineano come il Vangelo secondo Matteo “non sembra essere una semplice traduzione di un originale aramaico, ma riflette una redazione greca” e quindi l’esame del vangelo in greco non sembra convalidare l’ipotesi che derivi da una precedente versione in aramaico. Anche Raymond Brown – nel precisare come “la critica biblica è nuova sulla scena cattolica e ancora molto sospetta tra i cattolici di prospettiva più conservatrice” – sottolinea che “i cattolici romani furono tra gli ultimi a rinunciare alla difesa ufficiale della visione secondo cui il Vangelo è stato scritto da Matteo, uno dei Dodici – un cambiamento mostrato nel 1955 quando il segretario della Pontificia Commissione Biblica romana diede ai cattolici “piena libertà” in riferimento ai precedenti decreti della Commissione Biblica, tra cui uno che stabiliva che il greco Matteo era identico in sostanza con un Vangelo scritto dall’apostolo in aramaico o in ebraico”; tale teologo rileva in merito come la quasi totalità dei versetti del Matteo greco – 606 su 661 – sia in realtà una copia molto fedele di quelli del Vangelo secondo Marco, che usò come sua fonte principale.[49]

Matteo evangelista

Come ricordato, a partire dal II secolo, la tradizione cristiana attribuisce questo vangelo a Matteo apostolo.[1]

I sostenitori dell’attribuzione a Matteo dell’omonimo vangelo notano come il testo rifletta la professione dell’autore, che era un esattore delle tasse: il Vangelo secondo Matteo, infatti, fa riferimento al denaro molto più spesso degli altri, e lo fa utilizzando termini monetari specializzati.[50] Un esattore delle tasse romano come Matteo, inoltre, sarebbe stato in grado di riportare registrazioni accurate e dettagliate. Se fu Matteo a scrivere il vangelo, lo fece con umiltà, se descrive la festa che diede per Gesù come una cena,[51] quando l’autore del Vangelo secondo Luca parla di un grande banchetto.[52] Invece di tentare di nascondere la professione di Matteo, cosa che sarebbe stata segno di inaffidabilità, viene ammesso che egli era un esattore delle tasse, professione molto impopolare tra gli ebrei del I secolo, che spesso consideravano gli esattori traditori e sgherri dell’Impero romano.[53] Tono e contenuto sarebbero quindi in linea con la figura dell’apostolo[22].

Molti studiosi preferiscono però attribuire l’attuale redazione in greco di Matteo a un altro autore. Le ragioni fornite includono la composizione del testo in lingua greca, non in aramaico, e la forte dipendenza supposta dal Vangelo secondo Marco, condivisa da quasi tutti gli studiosi,[34] come pure la mancanza di caratteristiche solitamente attribuite al racconto di un testimone oculare.[54] I manoscritti originali, inoltre, non recavano scritti i nomi degli autori, e per questo motivo i manoscritti greci sopravvissuti recano un’ampia varietà di nomi per i vangeli; se Matteo avesse scritto il vangelo, lo avrebbe intitolato qualcosa come “Il Vangelo di Gesù Cristo”, mentre la scelta del titolo “Vangelo secondo Matteo” indica qualcun altro che cerca di spiegare quale sia la versione della storia contenuta nell’opera.[55] Inoltre il vangelo parla sempre alla terza persona, senza frasi del tipo «Io e Gesù», e quando parla dell’apostolo Matteo (ad esempio in Matteo 9,9) lo fa senza indicare che si tratta della persona che sta scrivendo il testo.[55] 
La quasi unanimità degli studiosi attuali – inclusi quelli cristiani, come precisato nella sezione Autore – ritiene quindi che l’apostolo Matteo, in merito al vangelo attribuitogli, non sia stato l’autore e neppure un testimone oculare.[56]

Altro autore

In alternativa a Matteo, gli studiosi moderni hanno suggerito diverse identità per l’autore di questo vangelo: uno scriba o un rabbi ebreo convertito, un giudeo ellenizzato, un gentile convertito che conosceva bene la fede ebraica, o il membro di una “scuola” di scribi all’interno della comunità giudeo-cristiana.[29][57] La maggior parte degli studiosi si orienta per un autore giudeo-cristiano, piuttosto che per un gentile.[58]

Alcuni studiosi hanno suggerito che l’autore, in Matteo 13,52, possa indicare di essere uno scriba istruito quando dice «Per questo, ogni scriba che diventa un discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa il quale tira fuori dal suo tesoro cose nuove e cose vecchie».[59] Secondo Browning, è possibile che l’autore venisse da una città la cui Chiesa fosse stata fondata dall’apostolo Matteo.[60]

Va ricordato che, dopo Papia, il successivo scrittore a parlare dell’autore del Vangelo secondo Matteo fu Ireneo di Lione nel 185, il quale afferma che ci sono solo quattro vangeli ispirati da Dio, e che furono scritti da Matteo, Marco, Luca e Giovanni. Secondo Bart Ehrman, Ireneo avrebbe avuto buone ragioni per convincere i suoi lettori dell’origine apostolica dei libri: assieme ad altri capi della Chiesa, Ireneo era coinvolto in un dibattito in materia dottrinale: conosceva infatti, per esempio, un gran numero di persone che credevano che vi fossero due divinità separate, il Dio dell’Antico Testamento e il Dio del Nuovo Testamento. Ciascun gruppo giustificava la propria dottrina facendo riferimento a certi libri; per sostenere l’autenticità di vangeli prima anonimi, vi si sarebbero apposti dei nomi. L’insistenza nell’attribuire la composizione all’apostolo Matteo andrebbe quindi vista, secondo Ehrman, come parte di una campagna contro gli eretici.[2]

David Flusser, professore di cristianesimo antico e di giudaismo del Secondo Tempio all’Università Ebraica di Gerusalemme, affermò che sebbene molti studiosi (e, in passato, anche egli stesso) siano convinti del fatto che il Vangelo secondo Matteo all’epoca della sua composizione era indirizzato ad un pubblico ebraico, nondimeno possiede un carattere distintamente antisemita[61]. Secondo Flusser ciò sarebbe da imputare a manipolazioni successive adoperate da un falsario, forse ebreo[61], vissuto negli anni seguenti alla distruzione del Tempio di Gerusalemme[61] (cioè dopo il 70), il quale avrebbe inoltre apportato modifiche radicali al testo originale di Matteo[61], molto più simile al Vangelo secondo Luca prima della falsificazione[61].

LINGUA

La maggior parte degli studiosi neotestamentari ritiene che il Vangelo secondo Matteo sia stato composto in greco.[5] C’è però un’ampia discussione sull’esistenza di una precedente edizione in aramaico,[72] così come è da valutare la storia della redazione dello scritto attuale in relazione alle sue fonti. All’interno del testo, è ravvisabile una diffusa dimensione giudaico-cristiana, la quale suggerisce un autore di estrazione giudaico-cristiana che scrisse per cristiani di simile estrazione, per i quali enfatizza il soddisfacimento in Cristo delle profezie dell’Antico Testamento. Gesù è raffigurato come il promulgatore di una nuova legge i cui miracoli sono una conferma della sua missione divina. Alcuni studiosi hanno suggerito che il riferimento di Papia ad una raccolta di detti di Gesù da parte di Matteo sia ad una versione più antica del vangelo scritto in lingua aramaica e che fu usata dall’autore del Vangelo secondo Matteo.[21]

Vi sono diverse testimonianze (Papia,[73] Ireneo di Lione,[74] Clemente Alessandrino,[75] Tertulliano,[76] Origene,[77] Panteno,[78] Eusebio di Cesarea,[79] Epifanio di Salamina,[80] San Girolamo[81]) che Matteo scrisse originariamente in alfabeto ebraico e nel “dialetto ebraico”, che si pensa sia l’aramaico. Nel XVI secolo Erasmo da Rotterdam, curatore della prima edizione della Bibbia greca, fu il primo a dubitare dell’esistenza di una versione originaria in ebraico o aramaico del Vangelo secondo Matteo, basandosi sull’assenza di testimonianze dirette, in quanto nessuno affermava di aver visto tale versione.

La maggioranza degli studiosi ritiene oggi che Matteo sia stato scritto originariamente in greco e non sia la traduzione di una precedente versione in aramaico[82] e presume che le testimonianze degli scrittori cristiani dei primi secoli facciano riferimento a uno o più documenti distinti dall’attuale Vangelo secondo Matteo; infatti, la quasi unanimità degli studiosi attuali, inclusi quelli cristiani, ritiene che l’autore del Vangelo di Matteo non fosse un apostolo e neppure un testimone oculare[83]
Una minoranza di studiosi è, invece, sostenitrice della composizione in aramaico del Vangelo secondo Matteo, posizione che prende il nome di “priorità aramaica“.[84] Questi studiosi generalmente considerano la Peshitta e le versioni del Nuovo Testamento in antico siriaco più vicine agli autografi originali. Secondo gli esegeti della Scuola esegetica di Madrid, il Vangelo di Matteo e il suo sostrato aramaico risalirebbe ai primi dieci anni successivi alla morte di Gesù, quindi prima del 45.[85] Un testo ebraico del Vangelo secondo Matteo fu pubblicato nel XIV secolo dal polemista ebraico spagnolo Shem-Tob ben Isaac Shaprut; sebbene sia normalmente considerato la sua traduzione, vi sono indizi che stesse usando un testo preesistente, basato su qualcosa di più antico dell’attuale testo greco. Esiste anche un codice su papiro che contiene Matteo da 5,38alla fine e che sembra contenere indizi di un testo più antico; alcuni passaggi hanno un senso più chiaro, come l’invocazione degli Ebrei a Gesù «Hoshanna nella casa di Davide» (“Salvezza, preghiamo, nella casa di Davide”) invece che «Hoshanna al figlio di Davide» (“Salvezza, preghiamo, per il figlio di Davide”) in Matteo 21,9 e 21,15.[86]

STILE

Il vangelo è scritto in un buon greco, in linea con lo stile dei Settanta, la traduzione greca della Bibbia di epoca ellenistica. Il periodare è semplice e predilige frasi brevi collegate dalla congiunzione “e”.[11]

Il testo presenta diversi tratti tipicamente semitici: è il caso, ad esempio, dell’espressione “Regno dei Cieli”, che si ritrova solo in Matteo e riprende alla lettera la formula usata da Gesù (malkuta dishemajja in aramaico) per evitare, in linea con la tradizione rabbinica, l’impiego del nome di Dio.[46]Frequente e l’applicazione del parallelismo, tipica della poesia ebraica, e soprattutto del parallelismo antitetico, per cui a un’affermazione viene fatta seguire la negazione del suo contrario.[46]

Il riferimento alla poesia ebraica è anche presente nell’episodio dell’Ingresso a Gerusalemme[87] e al relativo richiamo della profezia di Zaccaria[88]: “Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina[89], in base alla quale Matteo fa entrare Gesù a Gerusalemme a cavallo di due animali contemporaneamente (asina e puledro d’asina). Tale incongruenza di Matteo deriva, infatti, da un’interpretazione letterale ed errata della poesia, utilizzata nella Bibbia ebraica, che si compone di emistichi in cui l’enunciazione del primo verso (“montato sopra un asino“) viene enunciata poi nel secondo con parole diverse (“sopra un puledro d’asina“) ma si riferisce sempre ad una sola affermazione. Gli esegeti dell’interconfessionale Bibbia TOB[90]sottolineano che “preoccupato di vedere la realizzazione della profezia, Mt non si cura della inverosimiglianza”, mentre gli esegeti curatori del “Nuovo Grande Commentario Biblico”[91] rilevano che “ci sono due animali perché Matteo prende troppo alla lettera la profezia. […] Matteo fa guidare a Gesù due animali contemporaneamente: difficile da immaginare”. Lo storico e biblista Bart Ehrman[92] osserva inoltre come “chiunque abbia dimestichezza con le Scritture ebraiche individua facilmente la forma letteraria cui questo passo appartiene […] Alcuni studiosi hanno sostenuto che nessun ebreo istruito avrebbe commesso un errore del genere a proposito del passo di Zaccaria (nessun altro evangelista, possiamo aggiungere, lo fa[93]); e quindi l’autore non poteva essere ebreo. La maggioranza degli esperti, però, non è convinta, in parte perché siamo a conoscenza di diversi autori antichi (come peraltro moderni), anche colti, che sembrano fraintendere quello che leggono”.

Un procedimento stilistico di Matteo è la duplicazione dei personaggi: gli esegeti della École biblique et archéologique française (i curatori della Bibbia di Gerusalemme)[94] – concordemente al teologo Rudolf Bultmann[95] – osservano che Matteo inserisce “due ciechi a Gerico (20,30) e due ciechi a Betsàida (9,27), miracolo che è un ricalco del precedente. Questa duplicazione dei personaggi può essere un procedimento stilistico di Matteo”. Ad esempio, nella Guarigione del cieco di Gerico – miracolo narrato nei tre vangeli sinottici(Mc10,46-52 ; Mt20,29-34 ; Lc18,35-43) – Matteo narra di due ciechi guariti da Gesù, al contrario dei vangeli di Marco e Luca che raccontano di un solo cieco; gli studiosi del “Nuovo Grande Commentario Biblico”[96]evidenziano, inoltre, che Matteo “raddoppia il numero dei ciechi, forse per evitare l’impressione che si trattasse di un semplice affare privato”.

DESTINATARI

Vi sono indizi a favore del fatto che Matteo sia stato scritto per una comunità di ebrei cristiani. In 18,15-17 Gesù istruisce i propri discepoli a trattare un membro ostile della comunità come un «gentile e un esattore delle tasse».[97] In 17,24-27 Gesù e Pietro discutono se sia giusto pagare la tassa del tempio, e dopo aver suggerito di non doverla pagare, Gesù fornisce miracolosamente una moneta a Pietro e gli dice di pagare la tassa per entrambi; dopo la prima guerra giudaica, i Romani utilizzarono i proventi della tassa del tempio per ripagare i costi della guerra: questo passaggio potrebbe essere un riferimento alle dispute interne alla comunità ebraica cristiana sull’opportunità di continuare a pagare questa tassa.[97]

LUOGO DI COMPOSIZIONE

Il luogo di origine del Vangelo secondo Matteo è stato identificato con Antiochia di Siria,[98] con un insieme di comunità urbane nelle sue vicinanze, o con uno degli insediamenti più grandi della Galilea.[60][99]

Le ragioni di questa identificazione risiedono nell’associazione con il giudaesimo palestinese e la sua interpretazione della Legge e, al contempo, nell’accettazione del mondo non-ebraico e nell’ammissione di pagani nella comunità cristiana dopo la Pasqua. La distruzione di Gerusalemme è inoltre importante ma non sembra vissuta in prima persona: l’associazione con la città siriaca trova conferme anche nel ruolo predominante di Pietro apostolo, specie nella sua interpretazione dei comandi di Gesù, che aveva lasciato Gerusalemme e si era recato appunto ad Antiochia.[100]

È inoltre significativo rilevare che le prime citazioni del vangelo si hanno proprio in Siria, dove viene letto e citato da Ignazio nella Lettera agli Smirnesi e dall’autore della Didaché